Incidenti stradali, ecco quando scatta la prescrizione

Le tempistiche per agire in giudizio variano da caso a caso

I limiti temporali per far valere i propri diritti e chiedere il risarcimento danni a seguito di un sinistro stradale
Incidenti stradali, ecco quando scatta la prescrizione

Siete stati coinvolti in un sinistro stradale e ora volete agire in giudizio nei confronti dei responsabili? Allora sappiate che esistono dei limiti temporali.

Così come per gli altri fatti illeciti, anche gli incidenti stradali sono soggetti alla prescrizione, ma i termini variano da caso a caso. Vediamo allora quanto tempo abbiamo a disposizione per agire in giudizio dopo un sinistro.

 

Prescrizione incidenti stradali: cosa dice la legge

Quando si parla di prescrizione ci si riferisce al tempo che una persona ha a disposizione per far valere i propri diritti davanti a un giudice. Una volta scaduti i termini fissati dalla legge, il diritto si dice “prescritto” e non è più possibile avanzare le proprie pretese risarcitorie.

In Italia il meccanismo della prescrizione è regolato dall’art. 2947 del Codice Civile. Il comma 1 indica che, in caso di fatti illeciti, il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

Tuttavia, se si parla di incidenti stradali (comma 2) il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 2 anni, dunque il soggetto che vuole ottenere il risarcimento a seguito di un incidente deve agire entro 2 anni dalla data in cui è avvenuto il sinistro.

Ma non è sempre così, perché (comma 3) se l’incidente in questione è considerato un reato, per quest’ultimo caso la prescrizione è più lunga e si applica anche all’azione civile. Se però il reato si estingue per cause diverse dalla prescrizione o è intervenuta una sentenza irrevocabile in sede penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.

Il termine prescrizionale più lungo trova applicazione anche quando l’azione civile viene promossa non nei confronti degli autori del reato bensì nei confronti di chi deve risponderne a titolo di responsabilità indiretta (anche se è rimasto estraneo all’accertamento penale).

 

Patteggiamento, archiviazione e altri casi: cosa succede?

Ma perché il legislatore ha previsto termini prescrizionali diversi in fatto di risarcimento danni? La risposta la fornisce la Cassazione (sentenza n. 11775 del 15 maggio 2013), che ha dichiarato come la ratio sottostante alla norma consista nella tutela all’affidamento del danneggiato circa la conservazione dell’azione civile negli stessi termini utili per l’esercizio della pretesa punitiva dello Stato. In questo modo la pretesa risarcitoria non vede spirare il proprio termine di prescrizione prima della definizione del processo penale.

Ciononostante, la complessità del comma 3 ha generato parecchie diatribe e negli anni gli interventi della Cassazione si sono spesso rivolti ad individuare quelle sentenze che in sede penale potevano essere equiparate a una sentenza irrevocabile di condanna. Ad esempio il patteggiamento (sentenza n. 10281 del 5 maggio 2009) equivale a sentenza irrevocabile di condanna e il diritto al risarcimento del danno si prescrive entro 2 anni.

E se invece c’è stata l’archiviazione? In questo caso (sentenza n. 1346 del 20 gennaio 2009) il decreto di archiviazione non può essere equiparato a una sentenza irrevocabile, in quanto non vi è stato un pieno accertamento dei fatti nel corso di un processo essendo il decreto di archiviazione conclusivo della fase delle indagini preliminari. Pertanto, se il giudice civile stabilisce che il fatto non è un reato il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 2 anni, mentre se il danno patito dipende da reato trovano applicazione le regole del Codice Penale riguardanti la prescrizione da reato.

Infine, se il fatto è un reato ma il giudizio penale non viene promosso è comunque applicabile la più lunga prescrizione prevista per il reato (sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008).

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