La Cina chiude il rubinetto delle terre rare: nuova escalation nella guerra commerciale con gli USA
La Cina blocca l'export di terre rare: un duro colpo per l'industria americana e non solo
La tregua, se mai c’è stata, è durata poco. Dopo settimane di apparente distensione, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti torna a infiammarsi. E lo fa con una mossa che rischia di scuotere dalle fondamenta l’economia globale: Pechino ha sospeso l’esportazione di terre rare, bloccando di fatto la fornitura di materiali cruciali per settori strategici come l’Automotive, l’elettronica e la difesa. La decisione, maturata prima dell’annunciato incremento dei dazi americani al 125%, è ufficialmente legata all’intenzione del governo cinese di varare un nuovo sistema normativo per regolare le esportazioni. Ma i segnali sono chiari: si va verso un inasprimento delle restrizioni, con possibili stop selettivi a Paesi o comparti specifici, a cominciare dall’industria bellica statunitense.
Motori elettrici in difficoltà
Per ora, i materiali e i magneti basati su terre rare sono esportabili solo dietro concessione di licenze speciali. Ma la disponibilità sul mercato internazionale si fa sempre più scarsa, e le scorte rischiano di esaurirsi nel giro di pochi mesi. In gioco c’è molto più che il commercio di materie prime: il blocco potrebbe rallentare o addirittura fermare la produzione di motori elettrici, cuore pulsante di auto elettriche, robotica, droni, missili e persino veicoli spaziali. L’intera filiera tech, da smartphone e computer fino ai server per l’intelligenza artificiale, rischia la paralisi.
Sette bellezze
Sette sono gli elementi nel mirino di Pechino: samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio. Si tratta di terre rare cosiddette “pesanti”, essenziali nella produzione di magneti ad alte prestazioni. E su questi materiali la Cina esercita un controllo pressoché totale: fino al 2023 deteneva il 99% del mercato, ma con la chiusura dell’unica raffineria alternativa in Vietnam, ora la sua quota è salita al 100%. A ciò si aggiunge una leadership altrettanto schiacciante nella produzione di magneti: il 90% viene fabbricato in Cina, con il restante 10% diviso tra Giappone e Germania.
Il cuore produttivo di questa filiera si trova nella provincia di Jiangxi: qui le miniere estraggono il prezioso minerale che, dopo un passaggio nelle raffinerie di Longnan per la rimozione delle impurità, viene inviato agli impianti di Ganzhou per la realizzazione dei magneti. Una catena produttiva completamente integrata e strategicamente controllata da Pechino, tanto che proprio a Ganzhou si riforniscono giganti come BYD e Tesla. Il rilancio del settore è ormai una priorità nazionale: a confermarlo è la recente riapertura, nei pressi di Longnan, di una maxi-miniera chiusa in passato per ragioni ambientali. La mossa di Pechino suona come un chiaro avvertimento: nel nuovo equilibrio geopolitico, chi controlla le materie prime controlla anche il futuro.
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