Transizione ecologica, Saltalamacchia (Koelliker): “Sull’elettrico stiamo dicendo che non siamo un Paese per l’industria automotive”

"Può essere occasione di reindustrializzazione del comparto"

Transizione ecologica, Saltalamacchia (Koelliker): “Sull’elettrico stiamo dicendo che non siamo un Paese per l’industria automotive”

La transizione energetica che interessa la mobilità, con il relativo stop al 2035 alla vendita di veicoli endotermici (che ha subito una frenata dopo il rinvio del voto del Consiglio Ue), ha acceso un dibattito che ormai diverso tempo è articolato più come uno scontro tra tifoserie, con due fazioni contrapposte “per principio”, che non come una tema sul quale discutere su basi scientifiche ed economiche.

Di ciò ne è convinto anche Marco Saltalamacchia, CEO del Gruppo Koelliker, che, attraverso un post sul suo profilo LinkedIn, ha spiegato il suo punto di vista sulla questione, sottolineando come l’essere restii a questo cambiamento epocale dell’automotive rischia di tagliare fuori l’industria europea dalla competizione globale, con una discussione “filo-ideologica” che rallenta un percorso nel quale l’industria europea (e italiana) dovrebbe invece correre per recuperare lo svantaggio cumulato negli anni.

Opportunità di reindustrializzazione automotive

Per spiegare la sua visione sul passaggio all’elettrico, Saltalamacchia nel suo post social sintetizza sei punti, che riportiamo qui di seguito, attraverso i quali delinea la situazione attuale e come la transizione possa essere colta come un’opportunità da cogliere, anche sotto l’aspetto occupazionale, più che come uno spauracchio da evitare ad ogni costo.

1. Praticamente tutti i maggiori costruttori hanno fermato negli ultimi anni lo sviluppo delle piattaforme dei motori termici convogliando gli investimenti (massicci) verso l’elettrico.

2. I costruttori cinesi, questa scelta, l’hanno fatta già dalla fine degli anni ’90 ed hanno cumulato un significativo vantaggio (stimabile in 5-10 anni a seconda del punto di partenza del singolo costruttore). Annoto che molte iniziative industriali di quel paese sono “start-up” mentre altre invece derivano da costruttori “legacy”, a dimostrazione che non si deve essere necessariamente “grandi” per entrare nella competizione.

3. L’industria automotive europea, come ci spiega sempre ACEA, rappresenta per il nostro “vecchio” continente l’industria più importante in termini di PIL ed occupazione, ed ha sempre avuto una marcata vocazione (e leadership) verso l’export.

4. Questo scenario è chiarissimo anche agli USA che hanno varato una politica che punta parallelamente, da un lato ad accelerare la conversione industriale verso i veicoli elettrici ed al contempo (un po’ goffamente e causando la reazione anche di alleati storici come i coreani ed i giapponesi), favorendo la produzione locale di BEV.

5. I BEV, rappresentano, sotto il profilo industriale ed economico, un’occasione unica di “rimescolamento” delle carte sul tavolo della competizione globale. Aree geografiche che non avevano alcuna storica “vocazione automotive” (California, Shenzen per citare due esempi) sono diventate aree dominanti per questa tecnologia. La lamentata “distruzione di posti di lavoro” colpirà solo quei Paesi che subiranno la transizione senza investire nelle nuove tecnologie.

6. Il nostro Paese ha competenze, risorse finanziarie ed umane per avviare non semplicemente una “transizione” ma addirittura permettere una possibile “reindustrializzazione automotive” invertendo, invece, la progressiva desertificazione industriale che ha subito, costantemente negli ultimi decenni.

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