Bollo auto 2026: ecco chi è esente dal pagamento della tassa
Bollo auto: ecco quali sono le principali novità per il 2026
Ci avviciniamo al 2026 e ovviamente in tanti si domandano quelle che saranno le novità relative al bollo auto. La grande notizia è che sono state introdotte nuove esenzioni al pagamento della tassa. A partire da giorno 1 gennaio 2026 chi ha un reddito sotto gli 8.000 euro l’anno potrà fare richiesta di esenzione. Per usufruire dell’esenzione, sarà necessario fornire agli uffici competenti – sia dell’Agenzia delle Entrate sia delle amministrazioni regionali incaricate della gestione del bollo auto – la documentazione che attesti la propria situazione reddituale.
Bollo auto: ecco quali sono le principali novità per il 2026
Tra coloro che non pagheranno il bollo auto nel 2026 ci sono anche tutti i proprietari di auto elettriche e ibride acquistate dal 2022 in poi. In questo modo si vuole premiare chi ha scelto una mobilità sostenibile. Essi infatti godranno di un’esenzione completa per 5 anni. In questo caso non dovrà essere presentata nessuna richiesta ma l’esenzione sarà automatica.
Ma ovviamente le novità per il bollo auto nel 2026 non sono tutte positive. Ad esempio il superbollo resta invariato anche nel 2026, deludendo migliaia di proprietari di auto potenti che speravano nella sua abolizione, promessa più volte negli ultimi anni. L’addizionale, applicata ai veicoli con potenza superiore a 185 kW e con meno di vent’anni, non è stata modificata né nella legge di bilancio né negli emendamenti attualmente in discussione in Senato.
Il calcolo della tassa prevede 20 euro per ogni kW eccedente la soglia, con riduzioni progressive dopo cinque, dieci e quindici anni dalla costruzione del veicolo, rispettivamente al 60%, 30% e 15%. Questo significa che possedere una supercar o un SUV particolarmente potente può comportare spese annuali di migliaia di euro. Nonostante le ripetute dichiarazioni del governo, l’abolizione del superbollo è frenata da un nodo economico: eliminare la tassa creerebbe un buco di circa 200 milioni di euro all’anno, un importo significativo per un esecutivo che punta al rigore fiscale per mantenere la fiducia dei mercati e delle agenzie di rating.
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