Pomigliano: dopo il referendum, sabbie mobili sotto il destino dello stabilimento

Pomigliano: dopo il referendum, sabbie mobili sotto il destino dello stabilimento

Ieri il referendum. Oggi il responso. Domani? Il buio del futuro incombe ancora sullo stabilimento di Pomigliano d’Arco, provincia di Napoli, sui 5.000 mila lavoratori dell’impianto e sull’utilitaria Fiat Panda. Un futuro che ancora stenta a ricucire le fratture, che ancora s’incrina, che ancora non scende a compromessi e rimane seduto sullo scranno a godersi la zuffa tra la classe dirigente, capeggiata dall’AD del Lingotto, Sergio Marchionne, ed alleata alla classe politica italiana, e la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici che fa capo alla CGIL.

Affluenza alle urne alta, altissima, pari a circa il novantacinque-per-cento delle forze lavorative dello stabilimento napoletano, che dà lustro all’abbarbicamento di radice al proprio posto di lavoro, locus amoenus delle tute blu. Ma consenso al progetto pensato dai colletti bianchi per Pomigliano d’Arco in forte calo, fermo poco al di sotto del sessantacinque-per-cento dei voti, contro il trentasei-per-cento di quelli negativi (due-per-cento le schede nulle). Pochi i favori. Troppo pochi.

Talmente deludente, il risultato, da spingere Marchionne a rivalutare la prospettiva dell’investimento sull’impianto di 700 milioni di euro, destinato a far posto alla linea produttiva dell’utilitaria Fiat Panda, che verrebbe trascinata da Tichy, in Polonia, sul suolo italiano. Per Pomigliano, lo storico stabilimento che diede alla luce alcuni dei modelli Alfa Romeo più recenti (33, 155, 145, 146, 147, 156, 159 e GT), non c’è ancora un crocevia sufficientemente concreto e solido.

Quantunque le forze politiche abbiano guardato all’ingente partecipazione alle urne con soddisfazione, attagliati che l’interesse per un polo produttivo simile abbia smottato il panorama economico italiano in tal maniera, Fiat Panda perde la sua cittadinanza e diviene apolide in un attimo: Marchionne, pervicace, mette in dubbio la base solida che il bellicoso paragrafo odierno ha creato, con difficoltà. La Fiom si trincera dietro all’offesa alla costituzione ed ai diritti dei lavoratori che il programma del Lingotto sputa in faccia alle tute blu ed ai propri rappresentanti.

La dittatura di Sergio, le greppie politico-economiche, la recessione, l’ostinata guerriglia verbale degli intransigenti militanti nel sindacato: chi ha concorso di colpa? Chi responsabilità? Chi perisce?

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