Tesla Model 3: guidandola in Germania s’inquina di più che con una Mercedes turbodiesel

L'istituto di ricerca IFO: 156-181 g/km contro 141 g/km di CO2

Secondo uno studio dell'ente indipendente di ricerca tedesco IFO, in Germania una Tesla Model 3 ha, in termini di emissioni di CO2 complessive dell'intero ciclo vita del veicolo, un impatto sull'ambiente maggiore rispetto a quello di una Mercedes C220d turbodiesel.

Almeno in Germania l’auto elettrica non sembrerebbe garantire particolare beneficio all’ambiente, considerando il fatto che una Tesla Model 3 ha un effetto negativo sull’ambiente, in termini di emissioni di CO2, maggiore a quello provocato da una vettura turbodiesel di dimensioni analoghe. 

A queste conclusioni, per certi versi sorprendenti, è arrivato uno studio diffuso qualche mese fa dall’ente indipendente di ricerca tedesco IFO, ripreso e aggiornato dal magazine francese AutoPlus. Ovviamente l’auto elettrica, come nel caso della Tesla Model 3, non inquina durante il suo utilizzo e non lo fa con il motore, anche se l’attività di freni e pneumatici rilasciano comunque polveri e residui nell’aria.

Emissioni complessive del ciclo vita, a partire da quella della fonte energetica

L’affermazione secondo la quale la Tesla Model 3 inquini più di un’auto turbodiesel di pari dimensioni si basa infatti col calcolo dell’inquinamento totale del veicolo, con quest’ultimo che include anche la fonte che alimenta le batterie e che fornisce l’energia al motore. Nonostante in Germania la produzione totale annua di elettricità provenga per il 35,6% da fonti rinnovabili e per il 52,6% da combustibili fossili, IFO ha calcolato che il ciclo vita completo di una Tesla Model 3 produce fra 156 e 181 g/km di CO2, un livello maggiore rispetto ai 141 g/km di CO2 di una Mercedes C220d. Per l’effettuazione del calcolo si è assunto per la produzione tedesca di energia elettrica un fattore di emissione di CO2 medio di 0,55 kg/kWh, dal quale ne deriva un fabbisogno energetico di 15 kWh per 100 chilometri della Tesla Model 3 che causa alla fonte emissioni di 83 g/km di CO2, considerando l’attuale scenario produttivo di energia tedesco.

Le emissioni derivanti da produzione e smaltimento batterie

A tale valore, spiega IFO, va aggiunto un emissione addizionale, compresa fra 73 e 98 g/km, legata alla produzione e allo smaltimento delle batterie. In questo modo si arriva ai valori complessivi di 156-181 g/km di CO2. Tuttavia, lo stesso ente di ricerca, sottolinea che in altri Paesi i risultati saranno diversi, dato che entra in gioco l’intensità delle emissioni di CO2 per la produzione elettrica (0,55 kg/kWh in Germania), variabile che in Europa va da un valore inferiore a 0,100 km/kWh in Francia e sale a circa 0,7 kg/kWh in Polonia.

L’auto a metano batte tutti

Nell’indagine di IFO vengono presi in considerazione anche i motori a gas naturale (metano) che nel confronto dimensionato con Tesla Model 3 e Mercedes C220d comporta emissioni di 99 g/km di CO2, valore decisamente minore rispetto a quello dell’elettrica californiana e della turbodiesel tedesca. Pertanto, conclude lo studio, il motore a combustione interna alimentato a metano rappresenta la fonte di propulsione migliore in termini di emissioni di CO2.

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3 commenti

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  • Luca ha detto:

    Si tratta di uno studio vecchio, il cui risultato è viziato dalla scelta delle ipotesi iniziali.
    Si ipotizza per esempio, che la vita della batteria sia di 94000km quando la garanzia sulla stessa copre una distanza più che doppia (192000km). Si può facilmente dimostrare che, anche nel peggiori dei casi, dopo 100000km le emissioni totali di Co2 di model 3 sono inferiori a quelle di una equivalente diesel

  • Luigi ha detto:

    E’ ovvio che finché produrremo energia elettrica da fonti fossili, la Tesla non risolverà alcun problema, ma semplicemente lo sposterà.
    Produrre energia elettrica con il carbone, distribuirla (con le relative perdite) e utilizzarla per caricare una batteria non potrai mai essere né meno inquinante, né più economicamente conveniente di usare un motore a combustione interna. E questo senza parlare dello smaltimento delle batterie.

  • giovanni ha detto:

    Questo è uno studio che ciclicamente riappare, dal tono, probabilmente pagato con il miliardo di dollari che i petrolieri hanno speso per screditare l’elettrico. Quello che tutti si dimenticano è che:
    – il petrolio è sempre di minore qualità e genera sempre più scarto “pet coke”, ovvero petroleum coke (carbone di petrolio) che è un materiale velenosissimo che contiene metalli pesanti e quando viene movimentato viene bagnato per evitare il sollevarsi delle polveri;
    – questo scarto fino al 2002 era dichiarato veleno ed era stato ribadito dall’all’epoca ministro Ronchi. Poi siccome a Gela lo usavano facendo i furbi la magistratura aveva fatto fermare due impianti.
    – e nel 2002 appunto il governo Berlusconi Lega AN fece tempestivamente una legge trasformandolo in combustibile, i magistrati stracciarono le carte, la finanza levò i sigilli ed i fuorilegge la fecero franca;
    – poi negli anni successivi grazie anche ad una legge su misura anche il resto della raffinazione italiana finì per utilizzare tale veleno provocando un aumento di tumori, malformazioni neonatali e sterilità nelle popolazioni circostanti entro un raggio di 20/30 km;
    – tale veleno viene usato ovviamente senza informare le popolazioni anche in raffinerie in pianura padana (dove l’aria stagna) facendo ancora più danni (come Trecate e Sannazzaro).
    E siccome più passa il tempo, più la qualità del petrolio peggiora e lo scarto aumenta hanno provveduto ad autorizzare all’utilizzo anche cementifici ecc..
    Poi nello studio non so se hanno considerato l’estrazione, il trasporto, quello che viene emesso durante la raffinazione, il ritrasporto con autobotti e tutte le evaporazioni durante stoccaggi e travasi.
    Senza contare che “probabilmente” grazie alle trivelle in adriatico sono riusciti (anche se non è stato dimostrato) a far venire i terremoti in luoghi dove erano presenti monumenti di molti secoli fa (alla faccia della zona sismica), e in altre zone ad inquinare irrimediabilmente le acque sotterranee dalle quali attingono gli acquedotti.

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